Pagnottini Ferrarini

Diciamo la verità: quando mi sono arrivate le confezioni di prosciutto Ferrarini a casa per preparare le ricette di Natale, la famiglia non mi ha dato neanche il tempo di dire che cosa ci dovevo fare. Mi sono distratta un attimo a pensare alle possibili preparazioni e ops! Evaporato il prosciutto Ferrarini. E poi: maddai mamma, ti serviva? Scusaaa! Ha esclamato la quindicenne perennemente affamata, e Blanca: io non ho colpa, papà mi ha fatto un toast perché ero triste.

Si sa che, a casa nostra, il rapporto con il cibo è molto stretto, la golosità regna sovrana, e l’attenzione alla qualità degli ingredienti è estrema. La quindicenne è capace di risparmiare per comprare del burro al tartufo che poi conserva gelosamente, la decenne vivrebbe di pasta fresca, buoni salumi e mele, Marco ama gli spuntini e le mie ricette, ed io cucino tutte le volte che posso per noi e per gli amici.

In un primo momento avevo immaginato di preparare una ricetta della mia infanzia: gli involtini di prosciutto in gelatina. Un classico del Natale negli anni ’70. Poi mi sono detta che in fondo non avevo voglia di vintage e che la mia cucina vive di cottura al forno.

Quindi sono andata a comprare il Ferrarini

Pagnottini Ferrarini

Tempo cottura: 15 minutes

Tempo totale: 2 hours, 30 minutes

Pagnottini Ferrarini

Ingredienti

  • 500 gr di farina manitoba
  • 200 gr di acqua
  • 100 gr di latte
  • 1 cubetto di lievito 25 gr
  • 1 cucchiaino di sale fine
  • 1 vassoio di prosciutto cotto Alta Qualità Ferrarini
  • 100 gr di emmenthal
  • semi di sesamo
  • 1 uovo

Istruzioni

Preparate l'impasto del pane: in una ciotola capiente versate la farina, formate la fontana e aggiungete il lievito, il latte e l'acqua a temperatura ambiente. Sciogliete con le mani il cubetto di lievito e poi pian piano cominciate a mescolare con un cucchiaio, per far assorbire tutta la farina. A questo punto aggiungete il sale e poi cominciate ad impastare trasferendo l'impasto sul piano di lavoro, fino ad ottenere una bella palla liscia. Rimettetela nella ciotola a lievitare per 45 minuti, coprendola con un telo umido.

Spolverate il piano di lavoro con una manciata di farina, tagliate tanti pezzi d'impasto di pane, quante sono le fette di prosciutto. Tritate grossolanamente l'emmenthal, stendete con il mattarello i pezzi d'impasto, distribuite una manciata del formaggio e adagiate una fetta di prosciutto. Arrotolate, e girate a chiocciola.

Sbattete l'uovo, appoggiate su una teglia (spalmata d'olio o con carta da forno) e spennellate i pagnottini che avranno l'aspetto di una chiocciola. Alla fine spolverate abbondantemente con i semi di sesamo. Lasciate lievitare per altri 30 minuti, infornate a 250 gradi per 15 minuti. Sfornate e raffreddate su una gratella.

Buon appetito!

https://www.paolasucato.it/2011/12/04/pagnottini-ferrarini/

 

Blanca cucina il pollo al Saccoccio Buitoni

Domenica sera. Ho promesso a Blanca che le avrei fatto cucinare il Saccoccio Buitoni. Voglio far ridere Sandra Salerno di UnToccodiZenzero e dimostrarle che anche Blanca può cucinare il Saccoccio Buitoni.
Blanca comincia a leggere le istruzioni attentamente. Abbiamo deciso che per non usare le solite patate (che cucinerò io a parte, i patti sono patti), useremo degli ingredienti dolci e acidi: mele renette, carote e succo d’arancia.

 

Io le taglio le mele a fette e le faccio irrorare a lei con il succo d’arancia (ma con il senno di poi, le mele avrei dovuto lasciarle a metà, perché si disfano) e le carote a tronchetti.
Poi si passa al divertimento: s’infila tutto dentro, compreso le spezie del saccoccio, si chiude con il laccetto e si shakera…
Bisogna distribuire bene i sapori dentro il Saccoccio.

Saccoccio Buitoni 3A questo punto il forno è caldo, Blanca stende bene il Saccoccio nella teglia e poi inforna a 180° per 60 minuti.
Quando lo tiriamo fuori dal forno il profumo è intenso. Tagliamo, leviamo il sacchetto e distribuiamo bene nella teglia che farà anche da piatto di portata.
Rebecca e Marco ci guardano sospettosi, non si fidano delle mele. Ma mangiando si ricredono ed il pollo finisce molto in fretta.

 

 

Io avevo già preparato il Saccoccio Buitoni qualche mese fa. Se cercate altre ricette provate nel Gruppo di ricette al forno.

Papà, giochiamo, che io sono la mamma che va al lavoro?

Oggi parteciperò alle Italian Sessions, gli incontri dedicati al futuro del nostro Paese, in occasione dei festeggiamenti dei 150 anni, organizzati da Telecom Italia in collaborazione con la Scuola Holden di Torino. Oggi il tema sarà “Italia: Femminile, Plurale”.
Chi mi conosce sa che dico spesso la mia ai momcamp. Porto la mia esperienza e le mie personali, ma spesso condivise, osservazioni sul nostro ruolo nella società odierna.

Oggi partirò da lontano, mi serve fare il punto.
Mia nonna paterna, una donna istriana, forte ma lunatica, nel 1942 lasciò il marito e portò mio padre in collegio. Poi s’imbarcò come infermiera nelle navi da guerra. La mia mamma, nel lontano 1973 abbandonò il tetto coniugale. Lo so che è una definizione che non siamo più abituate a sentire, per fortuna, ma in quegli anni era ancora molto in voga. Era già scappata da un’altra famiglia, sposandosi, in cerca di una sua autonomia. Se la cavò da sola, ma non avrebbe potuto badare a sé stessa ed a noi figli, in una società che non tutelava ancora certi diritti.
Sono cresciuta da sola, ma con un’idea chiara: le donne lavoravano. A loro modo, le donne di casa, me lo hanno insegnato.

Il pensiero comune vuole che soltanto le donne che sono madri e mogli siano sensibili alle tematiche femminili di un certo tipo. Io non la penso così, e vi cito la mia amica Mafe, né madre né moglie, che pochi giorni fa, ha linkato un articolo molto interessante sulla situazione giuridica delle coppie che si separano. La conclusione amara dopo tante analisi del legale che scrive, è che questo sistema avvantaggi soltanto i padri assenti e le madri prepotenti.

Come dire che abbiamo fatto veramente poca strada.
Me ne sono accorta anche oggi leggendo sul Corriere della Sera il profilo dei ministri di questo governo tecnico. Tre donne preparate in tre posti importanti. Mi spiegate perché chi scrive ci tiene a dire che ad Anna Maria Cancellieri (Interni) piaccia la buona cucina, che abbia quanti nipoti e figli, e che di Paola Severino (Giustizia) che ama i viaggi e il teatro?
Sugli uomini, nessuna notizia di questo tipo, neanche l’assetto familiare vissuto. Tranne per Piero Gnudi (Turismo e Sport) di cui si racconta di una delle sue figlie che ha avuto un figlio da un noto comico. (il gossip tira, si sa)

Conosco un papà separato (nato sotto il segno della Vergine) che ha orgogliosamente calcolato la percentuale del suo tempo con le figlie rispetto a quella della madre: 48% contro 52%

Appunto il tempo: Se due genitori lavorano a tempo pieno, nessuno di loro due potrà stare con i figli nel pomeriggio. Inutile raccontarsela.

Come al solito, il part-time lo chiederà la madre perché è la persona che guadagna meno. Poi la madre rimarrà indietro professionalmente, si occuperà dell’educazione dei figli e della casa e manderà a ramengo tutto il resto… Da regolamento no?

Sono stanca di sentir dire che bisogna crescere i propri figli e stare con loro, se poi oggettivamente questo tempo, per chi lavora, è sempre più risicato.

Le donne guadagnano meno: è vero. Ma è anche vero che le donne continuano a cercare il “maschio alfa” e l’uomo la donna che lo fa sentire tale. Altrimenti la situazione sociale sarebbe diversa.

Ma le donne oggi sono diverse, almeno un po’. L’altra sera avevo a cena Claudia e Neva, due amiche non ancora trentenni.

Sono diverse per fortuna. Sono vegane, ecologicamente attente, vivono delle relazioni sentimentali senza aspettare il principe azzurro, viaggiano. Lavorano, mantenendo il giusto equilibrio tra ambizione, spirito d’autonomia, ideali e passioni.

Confido in loro, sono pronta a offrire il mio appoggio, le mie critiche e i miei consigli.
Loro sono diverse, come noi lo siamo dalle nostre madri. Amen.

Infatti ho preparato loro “Quattro stracci in padella4 stracci in padella così chiamati da Claudia.

Pasta artigianale Fabbri con le verdure di stagione. Poi aggiungerò la ricetta…

Adesso scappo alle Sessions

 

Myself, il nuovo femminile

MyselfVenerdì sono stata alla presentazione della nuova e tanto attesa rivista di Condé Nast. Ero curiosa anch’io: di questi tempi, lanciare una nuova rivista è decisamente una sfida, ma come ha detto Carlo Verdelli, presentandoci il progetto, le sfide come queste, sono le azioni necessarie nei momenti di difficoltà, parlando del mondo dell’editoria e non solo. La rivista è rivolta a un profilo di donna interessante, che ha da 35 ai 55 anni. Mi sento coinvolta.

 

Una donna che lavora, con un buon livello culturale ed economico, che nella maggior parte dei casi è in coppia, che si occupa della famiglia e che trova i momenti da dedicare a sè stessa. Tutto questo discorso mi è piaciuto, ma non mi tornavano i conti, mi ricordava molto il concetto delle mamme acrobate, da cui ho sempre preso le distanze. Della serie, noi donne siamo più brave, riusciamo a fare tutto e gli uomini non ci dicono neanche grazie! Arg!

Poi ho avuto il piacere di ascoltare la giornalista televisiva Ilaria D’Amico che ha ricordato la difficoltà dell’aver ripreso il lavoro pochi giorni dopo la nascita dei suoi figli. Non bisognerebbe rinunciare ai propri diritti, ai bisogni fisici dei primi giorni della maternità, per esempio.

Quando mi chiedono, come fai a fare tutto? Non mi gongolo, anzi mi irrito sempre un po’. Rispondo sempre con quello che ormai è diventato il mio slogan: Faccio tutto quello che sono costretta a fare, e tutto ciò che mi piace tantissimo. Il resto, o non lo faccio, o delego. E sopravvivo bene, credo altrettanto la mia famiglia.
Famiglia a cui ho imparato a chiedere aiuto, e che cerco di responsabilizzare tutti i giorni. A volte con fatica, certo. Io non voglio che le donne siano più brave, ma vorrei che avessero le stesse opportunità. Io non penso che gli uomini non siano capaci di fare quello che facciamo noi a casa o in famiglia. Penso che dobbiamo insegnare loro quello che non hanno mai fatto, e spiegare bene che certi di questi impegni, non sono doveri, ma diritti. Come quello di stare di più con i figli. Bisogna chiedere alla società e ai politici di fare di più. L’Italia è molto indietro, troppo. Che le donne siano brave a gestire le situazioni di crisi, non deve voler dire, che debbano essere sole o uniche protagoniste, ma anche che sappiano lavorare in squadra ed alla pari. Chiedendo e concedendo quella libertà anche agli uomini. La libertà di rimanere un passo indietro, se vogliono. La libertà di rimettersi in gioco se lo vogliono, anche rimanendo a casa a gestire la famiglia.

Myself mi è piaciuto, è semplice e diretto, e cerca una relazione con la lettrice. Esattamente ciò che che le persone (non solo le donne) desiderano di questi tempi.

Le pagine di cucina sono curate e i contenuti interessanti. Non ricette e basta. Sono convinta che piacerebbero anche a molti miei amici uomini. Recuperare lo spazio temporale per cucinare, nutrire e regalare emozioni a chi si vuole bene dovrebbe essere importante per uomini e donne che hanno questa passione. Ben vengano le donne che si metteranno a riparare motori.

In ogni caso io amo la cucina, e venerdì mi sono presa tre buone ore pomeridiane per preparare le tagliatelle fatte in casa con il ragù alla bolognese, per la mia famiglia, per Michy che oggi è tornata in Australia e per Marco Gialdi un uomo, una soluzione.

Vi posto la ricetta dimezzata: A casa mia si cucina sempre per un esercito.

Tagliatelle con ragù alla bolognese

Tempo preparazione: 1 hour

Tempo cottura: 2 hours

Tempo totale: 3 hours

Tagliatelle con ragù alla bolognese

Ingredienti

  • Per le tagliatelle (3/4 persone)
  • Farina 00 200 gr
  • Farina di semola di grano duro 100 gr
  • Uova intere medie 2
  • Tuorli 3
  • cucchiaio olio evo 1
  • sale q.b.
  • Per il ragù:
  • Polpa di maiale macinata 100gr
  • Polpa di vitellone 100 gr
  • Carota piccola 1
  • Costa di sedano 1
  • Cipolla piccola 1
  • Vino rosso 1 bicchiere
  • Brodo di carne 300 ml
  • Concentrato doppio di pomodoro 2 cucchiai
  • Pomodori pelati 200gr
  • Olio
  • sale q.b.

Istruzioni

In un bel tegame (meglio se di rame) fate rosolare in qualche cucchiaio d'olio le verdure tritate. Poi aggiungete le carni macinate e continuate a rosolare. Aggiungete 1/2 bicchiere di vino e lasciar sfumare. Poi versate un bicchiere di brodo. Continuate a cuocere, e quando si asciuga, aggiungete il restante vino, un altro bicchiere di brodo e i 2 cucchiai di concentrato di pomodoro. Fate ridurre a fuoco lentissimo e aggiungete pomodori pelati e tritati. Aggiustate con mano leggerissima di sale, pepate e continuate a cuocere. Se si asciuga troppo, ultimate con il brodo. Considerate una cottura totale di almeno 2 ore.

In una ciotola grande, fate la fontana con le farine, aggiungete le uova sbattute un po' e il cucchiaio d'olio. Impastate bene fino ad ottenere una bella palla liscia. Se si appiccica alle mani, aggiungete una spolverata di farina. Potete fare l'impasto anche con un robot a velocità media. Lasciate riposare l'impasto avvolto nella pellicola per 15/30 minuti. Stendete l'impasto con il mattarello sul piano di lavoro di legno, nel caso non ci sia il legno, spolverate bene di farina, perché non si attacchi. Quando la sfoglia sarà trasparente, (se le dita della mano si vedono sotto l'impasto è ok) lasciatela riposare ed asciugare una trentina di minuti. Avvolgetela su sè stessa e tagliate le tagliatelle della larghezza che preferite. Potete svolgere questa parte della ricetta con la macchina per la pasta, la differenza sarà una minore porosità della sfoglia. Mettete a bollire abbondante acqua salata. Buttate la pasta, e scolatela appena affiora in superficie, ma tenetevi un mestolo d'acqua di cottura da parte. Versate la tagliatella nel condimento e lasciate che s'insaporisca bene. Aggiungete il mestolo d'acqua di cottura se la vedete un po' asciutta. Buon appetito!

https://www.paolasucato.it/2011/10/24/myself-il-nuovo-femminile/

Arriva la Fiera del Rapulé

Castello di Calosso d'Asti

Castello di Calosso d'Asti

 

Calosso d’Asti è il mio paese. Il paese dove torno, il paese dove ritrovo angoli colorati e vigne che crescono con me. Non ci sono nati i miei genitori e neanche i miei nonni. Ma è il mio paese: l’ho scelto, e in fondo credo, che anche lui abbia scelto me. Cesare Pavese sosteneva che ognuno di noi ha bisogno di un paese in cui tornare per ritrovare sè stesso, ritrovare le persone che ti conoscono e che ti aiutano a riconoscerti.

 

 

Come ci sono capitata? Facile: la mia mamma trent’anni fa, si è risposata con Bruno, e con lui è andata a vivere alla Castagna, una piccola frazione di Calosso. Bruno ama questa terra e come pochi, non è scappato in città negli anni buoni, ma ha vissuto qualche decennio nella frazione di San Bovo, poi però non ha resistito a tornare nella stessa casa della sua infanzia, quando si è presentata la possibilità. Parliamo di qualche migliaio di metri di distanza, ma in un paese, pochi metri sono importanti, perché il legame con la terra è forte e non si dimentica.

Calosso è diventato il luogo, dove Bruno e mia mamma hanno accolto qualche mese della mia scapestrata adolescenza dove, dopo aver vendemmiato, mi toglievo gli stivali sporchi di terra umida e argillosa e scappavo in discoteca. Calosso è diventato il paese di mio marito, che un paese non lo ha mai avuto, perché troppo milanese nell’anima. È il paese delle mie figlie, dei loro mesi estivi, colmi di passeggiate in mezzo ai filari e di guardie nel pollaio per difendere le uova dalle gazze. È il paese di molti amici che si sono fatti adottare, dai suoi silenzi e dalle sue bontà.

Il Rapulè è un appuntamento autunnale, arrivato con successo alla sua 11° edizione, organizzato dall’Associazione Amici di Calosso a cui io non resisto. Un percorso enogastronomico che prende il nome dal Rapulin ‘d San Martin, ovvero il grappolino d’uva che durante la vendemmia è troppo acerbo, e che si raccoglie in questo periodo. Calosso apre tutte le sue porte: il suo castello, le sue case e le sue strade. Strade sempre troppo deserte durante l’anno, che si animano di calore, di profumi e di persone che scoprono le migliori tradizioni culinarie di questa terra, che ancora ha il gusto del Medioevo. E si scoprono i crutin di ogni casa, le cantine scavate nel tufo. Non perdetevi la più grande, La Crota ‘d Calos, dove l’accoglienza di Sebastiano e i piatti di Patrizia, vi avvicineranno alla tradizione più rigorosa e rassicurante. Quando, rallegrati e satolli uscirete dalla Crota, sedetevi al belvedere e godetevi le Langhe

Si accendono i fuochi, si cammina con il calice in mano e si degustano i vini dei produttori locali, a cui si stringono le mani. Se poi, siete meno timidi di loro, potrete farvi raccontare i loro racconti di vigna e di cantina…

A questo proposito, parliamo di ricette che amo.

Torta di nocciole e cioccolato

Tempo preparazione: 30 minutes

Tempo cottura: 40 minutes

Tempo totale: 1 hour, 10 minutes

Torta di nocciole e cioccolato

Ingredienti

  • 200 gr di nocciole Piemonte
  • 150 gr di cioccolato fondente
  • 175 gr di zucchero semolato
  • 5 uova
  • 100 gr di fecola di patate
  • 75 gr di burro

Istruzioni

Lavora in una ciotola capiente il burro morbido insieme allo zucchero ed ai tuorli, con una frusta elettrica o non, fino ad ottenere una miscela omogenea e cremosa. Trita le nocciole e grattugia il cioccolato, tenendoli separati. Incorpora un po' alla volta, la fecola di patate, le nocciole tritate ed il cioccolato. Quando il composto è ben amalgamato unire gli albumi montati a neve. Versare in una tortiera cm 24 ed a bordo alto, imburrata e infarinata. Cuocere a 160° per 30/40 minuti. Controlla la cottura con uno stecchino di legno, se uscirà pulito e asciutto, la torta è pronta, servila spolverata di zucchero a velo.

https://www.paolasucato.it/2011/10/14/arriva-la-fiera-del-rapule/