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Paralimpiadi, emozioni e futuro della diversità
Stamattina, mentre prendevo un caffè al bar, mi sono soffermata sull’oro conquistato da Alex Zanardi, ho sorriso ed ho cominciato bene la mia giornata. Un buon modo per il mio ripartire milanese ed autunnale.
Già, questa è stata un’estate diversa, le Olimpiadi di Londra e poi le Paralimpiadi.
A partire dalla cerimonia di apertura dei giochi mi sono emozionata guardando la sfilata che non vedevo da anni. Sorrisi e sguardi vivaci si confondevano con i telefonini e con le divise colorate delle sfilate. Mi sono rallegrata per Pistorius, come milioni di persone, per la sua partecipazione alle Olimpiadi e ho condiviso la sua soddisfazione per il raggiungimento di un sogno.
Mi sono anche sorpresa, quando mia figlia Rebecca ha sostenuto che non fosse giusto. Secondo il parere della sedicenne di casa, Pistorius avrebbe dovuto partecipare soltanto alle Paralimpiadi.
Mi sono irritata e mi è risalita tutta l’antipatia per quel modo di fare degli uomini pavidi e meschini, espressa a parole o a sguardi con la classica frase: “Stai al tuo posto!”
Quante volte è stata urlata, detta, sibilata a quelle persone che invece al loro posto non ci volevano stare e che volevano cambiare le cose? Troppe volte. Per fortuna tanti uomini coraggiosi e testardi, “al loro posto” non ci son voluti stare.
Quando Rebecca mi ha visto così coinvolta, arrabbiata e mortificata per le sue parole, si è smontata un po’ e per fortuna, ha ricominciato ad usare la testa. Voi potreste dirmi che forse ho esagerato… lo capirei, ma è vero che ho frainteso le sue parole, e il suo tono non era certo quello descritto.
D’altronde io quelle parole da Rebecca, non me le sarei mai aspettate. Rebecca è nata 16 anni fa con un’emimelia: ovvero il suo braccio destro non si è sviluppato durante la gestazione ed è rimasto un abbozzo, appena sotto il gomito. Ma Rebecca ha sempre fatto tutto. Tutto ciò che si è messa in testa di fare l’ha fatto: ha imparato a nuotare, ad arrampicarsi, a schermare e ad infilare il filo negli aghi. Lei non ha mai avuto nessun problema, è il mondo intorno a lei che ha un problema. Un mondo che non riesce a vedere la sua normalità, anzi che non riesce a trovare la bellezza della diversità in se stesso. Per fortuna questo mondo cambia velocemente, come velocemente può cambiare idea una ragazza di sedici anni.
Lei che ha usato le protesi nei suoi primi anni di vita e che poi ha cominciato a togliersele per usarle come strumenti contundenti quando litigava con i suoi amici a tre anni. Lei che ha deciso di smettere di usare le protesi perché riusciva a farci meno che con un braccio solo. Lei che ha deciso di farsi fare una protesi estetica dipinta a mano in ogni particolare, per capire che effetto faceva non farsi osservare per strada, per poi smettere di usarla perché era scomoda. Lei che quest’estate ha iniziato a progettare una protesi utile, con tutti gli attrezzi, immaginandola quasi come un coltellino svizzero.
Alex Zanardi, Pistorius e molti altri partecipanti alle paralimpiadi ci sono arrivati prima di lei.
L’importante è riuscire a fare ciò che si vuole, compreso vincere, o diventare più veloci di un normodotato, grazie a due gambe artificiali.
Mi piace l’energia di questi ragazzi, che vogliono dimostrare come una difficoltà non solo non sia un limite, ma come questo possa diventare una motivazione meravigliosa. Sarebbe bello applicare questo concetto a tante altre cose…
Ho letto che Pistorius ha avuto da dire sulle gambe di chi l’ha battuto. Credo che anche questo sia “normalità”