Sono stata recentemente in giro per il Piemonte, e mi sono resa conto che pur avendoci vissuto per anni e continuato spesso a visitare Langhe, Monferrato, Torino e altro, mi mancano dei pezzi molto interessanti.
Forse è segno dell’età che avanza, ma mi ritrovo a pensare che anche luoghi piccolissimi e fuori da ogni circuito turistico abbiano un loro perché, soprattutto in Italia. Con la loro realtà, senza i soliti romanticismi da cartolina, riescono a raccontare una storia autentica e non quella nostalgica e a volte un po’ fasulla, di un passato idealizzato.
Anche per questo, ogni volta che ho potuto, ho trascinato amici a Costigliole d’Asti, Calosso o Cossano Belbo.
È come per il cibo: vorremmo tutti poter comprare un buon bicchiere di latte di una mucca che pascola in una distesa verde, ma se anche fosse possibile, non saremmo mai disposti a pagarlo quanto costerebbe realmente, anche potendocelo permettere.
Come se non esistesse una via di mezzo: quella del buon senso, per esempio: il Piemonte ha un’enormità di paesi bellissimi, con storia onorabilissima e vini da provare con gusto, quindi sì certo, va bene Alba, ma non esiste solo lei.
Avete mai visitato Saluzzo?
Cercherò di andare per ordine, ma dopo vi racconterò anche di Saluzzo.
Cominciamo dalla prima destinazione: Moretta, Cuneo, per la visita in Inalpi.
Con Teresa Balzano (socia, sorella e spesso mamma, quando mi perdo i pezzi), siamo riuscite a organizzare un bel gruppo di blogger interessate all’approfondimento sulla questione e in alcuni casi già coinvolte per contest e contenuti per il sito, per un tour che comprendesse tutte le realtà dell’azienda.
Partendo dagli allevamenti (Compral Latte e Piemonte Latte) che spiegano una sfida cominciata già da tempo: produrre latte di qualità, controllando continuamente e migliorando attraverso la conoscenza e facendo, appunto rete, esattamente come dovrebbe essere una cooperativa.
Continuando nel caseificio a Peveragno dove arriva quel latte e si producono i formaggi DOP, ma anche il formaggio che serve per la produzione di formaggini e fettine (non, non si possono chiamare nell’altro modo).
Ah sì, mi piacciono i formaggini e non ho mai smesso di mangiarli, e mia figlia credo sia una delle maggiori consumatrici di toast almeno a Milano e dintorni. Inutile dirvi che mi fa sentire meglio sapere che il formaggio fuso con cui vengono prodotti sia esso stesso prodotto con quel latte che vi ho appena raccontato. Non è quello della mucca sul prato verde, ma è quello di una mucca che viene curata e ben nutrita.
In ultimo lo stabilimento, grande come ci si può aspettare e con un laboratorio di analisi tutto suo, perché quel latte viene controllato, ad ogni arrivo.
Già perché la sicurezza dovrebbe essere un valore acquisito ma non la si può dare per scontata. Ovvio che, se mi ritrovo in alta montagna e bevo del latte crudo mi sto fidando di chi lo produce, ma la stessa cosa ce l’aspettiamo anche quando facciamo la spesa in una realtà urbana, e la fiducia si crea solo con la conoscenza e l’informazione, non con una bella pubblicità. Beh, diciamo che se ce la facciamo bastare è perché non c’interessa saperlo…
Poi l’ultimo step, il ristorante di Gian Piero Vivalda per degustare i piatti preparati con i formaggi Inalpi. Prometto di utilizzare bene l’abbattitore per fare i formaggini fritti, che ho assaggiato da lui, (oltre ad aver goduto di tutto il menu, ovvio).
Dal formaggio al vino, e da Moretta, arrivo a Saluzzo grazie all’invito di Michele Antonio Fino e il Consorzio per la Tutela dei Vini Doc Colline Saluzzesi
Mi sono chiesta perché mai non avessi mai visitato Saluzzo, a cui non manca certo né la storia né i vini né i paesaggi. La risposta è stata semplice, ma non piacevole: non sono stata abbastanza curiosa, nonostante in questa regione ci sia cresciuta e tornata mille volte.
“Dobbiamo staccarci dall’idea che non siamo nelle Langhe. Anche nel Saluzzese ci sono ottime barbere” ha detto la presidente del Consorzio, Vanina Carta. Ha ragione lei, dobbiamo ancora scoprire e far conoscere nuovi itinerari e ascoltare chi in questi posti ci vive, li coltiva e li ama.
Il Consorzio è giovane, si sente chiaramente la capacità di collaborare per far crescere il territorio, anche con il lavoro di recupero delle varietà autoctone di cui appunto Michele Antonio Fino è protagonista e promotore.
Un bel racconto dell’esperienza è qui